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STORIA SULL' INVENZIONE DELLA POLVERE DA SPARO

 

Il primo impiego di polvere da sparo per il lancio di oggetti è presumibilmente avvenuto in Oriente. Infatti, i Tartari e gli Arabi utilizzarono molto presto vari tipi di tubi (successivamente copiate dai Romani e denominati "candele romane") per il lancio di fuochi artificiali. Si trattava di semplici tubi di legno o di bambù che erano esternamente rinforzati con legature di canapa o pelle. Venivano caricati dalla volata con polvere e palle incendiarie, disposte a strati alterni. Le palle incendiarie spesso erano di sego, anche se pare che alcune fossero costituite semplicemente da stracci imbevuti di olio. Esse venivano accese sempre dalla volata e, mentre il fuoco avvolgeva ogni palla, incendiava la polvere che lanciava la palla stessa fuori dal tubo. Su antichi annali cinesi (datati 1259) si trova menzione dell’impiego della polvere da sparo a tali fini. La più antica rappresentazione grafica certa di un pezzo d’artiglieria si trova nel manoscritto di Millimete, conservato a Oxford. Le illustrazioni del manoscritto offrono suggestive immagini miniate di cannoni. Una di esse raffigura un soldato in armatura nell’atto di accendere la carica di polvere di un cannone, a forma di vaso, puntato contro la porta di una fortezza a breve distanza. Il pezzo appare montato su un affusto a quattro gambe. Nel manoscritto l’autore Walter de Millimete rivolge un’espressione di omaggio al re Edoardo III in occasione della sua ascesa al trono avvenuta nel 1327. Il testo non riporta alcun riferimento alle illustrazioni in esso riprodotte. E noto comunque che Edoardo III fu uno dei primi monarchi che utilizzarono i cannoni in battaglia e l’autenticità del prezioso documento storico è indiscussa. Poco dopo la sua ascesa al trono, comunque, Edoardo III condusse un esercito contro gli scozzesi. Pare che avesse con sé un gruppo di cannonieri di Hainault, il che confermerebbe che i suoi cannoni provenivano dalle Fiandre. Le armi erano certamente simili a quelle illustrate nella citata miniatura, spesso denominate "pot-de-fer". Se è impossibile stabilire con certezza quando siano stati adoperati per la prima volta schioppi e cannoni, è tuttavia verosimile che il loro sviluppo sia stato contemporaneo. Va ricordato che nel fatto d’armi verificatosi il 1° maggio 1321 fra il conte Guido da Montefeltro, capitano del popolo difensore di Forlì, e Giovanni d’Appia, capitano d’armi al servizio dello Stato Pontificio, apparve lo "schioppo", antenato delle armi da fuoco individuali, come risulta dalle cronache dell’epoca. Il sistema di costruzione, caricamento e funzionamento furono gli stessi per tutti i tipi, almeno in origine anche il sistema d’accensione era lo stesso per tutti. Ricordiamo però che già Marco Polo nei suoi viaggi in oriente riportò di fuochi pirotecnici veduti nella lontana Cina già prima dell'anno mille.  All’inizio del XIV secolo si diffuse la consuetudine di registrare la cronaca degli avvenimenti e nello stesso periodo storico si adottarono terminologie nuove e differenziate nelle diverse nazioni per indicare le bocche da fuoco. I francesi le chiamarono "quenon" o "cannon", gli olandesi le denominarono spesso "vogheleer", gli italiani "bombarde". Dalle cronache tedesche giunte fino a noi si rileva l’uso del termine "Buchsen". La documentazione storica relativa ai primi sviluppi delle armi da fuoco è scarsa e incompleta. Si ignora chi preparò per primo un tubo metallico attraverso il quale, mediante l’uso di una sostanza esplosiva come propellente, si dirigeva un proiettile contro un bersaglio vicino o lontano. Non si sa con precisione nemmeno quando ciò avvenne. Il termine "accensione" venne usato, in relazione alle prime armi da fuoco, per indicare il sistema utilizzato per sparare. Le prime armi da fuoco, sia quelle portatili che quelle d’assedio venivano azionate mediante un tizzone o un ferro rovente posti a contatto con la polvere attraverso un forellino, detto focone, posizionato nella culatta della bocca da fuoco (vale a dire nella parte posteriore della canna). Attraverso il forellino, la fiamma arrivava alla carica di lancio già introdotta dalla volata. Le bocche da fuoco venivano generalmente fabbricate in ottone, bronzo e leghe analoghe, mediante fusione. Alcune erano prodotte in ferro battuto. Molte avevano forma cilindrica, mentre per altre venivano espressamente disegnate le camere di scoppio. I modelli portatili erano generalmente fissati a manico o tenieri. I tipi più pesanti erano montati su affusti dei più diversi tipi, da quello a culla al tipo a ruote. A quei tempi la polvere non era granulata. L’unico fatto che precluse sostanziali progressi fu la mancanza di una cartuccia adatta, per la cui ideazione e realizzazione si doveva attendere ancora cinquecento anni. Sul finire del ‘300 fecero la loro apparizione, sia pure in forma piuttosto rudimentale, i primi meccanismi di sparo. Come già si è detto, sin dai tempi più remoti il sistema d’accensione degli schioppi fu detto "focone"; per effettuare lo sparo era necessario incendiare a mano, con un carbone acceso o un ferro rovente, il polverino d’innesco. Questo procedimento rendeva poco pratiche, in campagna, le armi portatili e permetteva di ottenere buoni risultati solamente con le artiglierie. Con i primi archibugi a miccia, tuttavia, l’estremità della corda accesa veniva sospinta col dito fino ad entrare in contatto col polverino al momento dello sparo. Questo dispositivo fu adottato dai combattenti di ogni nazione e ben presto venne notevolmente perfezionato. La prima notizia certa viene fornita dal "Codex 3069" di Vienna, che sicuramente risale al 1411. I documenti coevi, conservati a Erlangen e a Vienna, offrono anche dei particolari sul sistema a miccia. Fu necessario però attendere circa cinquant’anni perché venisse realizzato un efficiente complesso composto da grilletto, cane e scodellino (o bacinetto). Il processo evolutivo del sistema a miccia portò presto alla realizzazione di una specie di cane a molla, con grilletto a bottone. Tale accorgimento, naturalmente, accelerava l’operazione di accensione e conseguentemente facilitava il puntamento. Successivamente fu introdotto un grilletto di tipo più convenzionale. L’archibugio a miccia, nella sua forma primitiva, era dotato di un semplice sostegno metallico per la miccia a lenta combustione, sorretto da un perno, e che veniva avvicinato manualmente dal tiratore. Pare che i tedeschi siano stati i primi a ideare la successiva variante già menzionata, quella del "grilletto a bottone". Il serpentino (similmente all’odierno "cane") veniva armato e trattenuto da un dente d’arresto contro la pressione di una molla. Pigiando un bottone, il serpentino veniva liberato e portava l’estremità accesa della miccia a contatto col polverino. Questo fu il sistema in uso sulle armi portatili militari fin verso il 1520. La modifica successiva fu anche la più riuscita. Si tratta del sistema "a pressione" inventato da Cornelius Johnson, armaiolo inglese alla Torre di Londra; anche in questo caso pare che il dispositivo sia di origine tedesca. In tutte le sue varianti, questo nuovo sistema è formato dalle seguenti parti: una specie di cane, un blocco, un dente di arresto, due molle a lamina ed un grilletto. Praticamente non è altro che il sistema "ad azione singola", come noto oggi ai tiratori. Tirando il grilletto, veniva liberato il cane, facendolo ruotare di 90° per porre a contatto la miccia con la polvere del bacinetto. Il sistema a miccia definitivo fu quello denominato "istantaneo", entrato in uso in Europa verso il 1570. Questo comprendeva, in sostituzione della lunga miccia, un tubicino tra le ganasce del serpentino. Nel tubicino era collocato un pezzetto di miccia ed il vantaggio, quando c’era, consisteva nel fatto che il tiratore si esponeva, mostrando la luce d’accensione, solamente al momento di entrare in azione, allorché accendeva la piccola miccia. Uno degli svantaggi del normale armamento a miccia consisteva nel fatto che il nemico poteva scorgere l’approssimarsi dei tiratori dal fuoco della stessa. Risalgono all’epoca della miccia le prime realizzazioni e i primi tentativi di molti dei principi su cui si basarono le successive armi più perfezionate. Si ignora il luogo ed il nome dell’ideatore della rigatura che e un innovazione risalente appunto a questo periodo storico. Un manoscritto di Lipsia del 1498 fa menzione di un sistema per eseguire la rigatura in una bocca da fuoco, ideato dal viennese Caspar Kollner. La descrizione comunque riferisce anche che le righe erano diritte. Ciò fa pensare che lo scopo della innovativa sperimentazione di Kollner fosse quello di assicurare rapidità di caricamento e pulizia e non di stabilizzare il proietto in traiettoria mediante un sistema di rotazione. L’ideazione della rigatura è stata attribuita anche ad August Cotter che fu attivo a Norimberga dal 1500 al 1520 circa. Anche questa "paternità" non è accertata. Comunque, è proprio in quest’epoca che appare la rigatura elicoidale. Un inventano italiano del 1476, ad esempio, descrive "armi da fuoco con canne rigate a spirale". Nel Museo dell’arsenale inglese di Woolwich sono conservate alcune armi e bocche da fuoco, per la maggior parte con rigatura a spirale; alcune hanno invece rigatura rettilinea. Fu esperito anche il tentativo di introdurre il sistema a retrocarica, ma senza molto successo a causa degli imperfetti sistemi di otturazione in culatta. Molte di queste prime armi a retrocarica utilizzavano il sistema di chiusura a blocco verticale, adottato dagli Stati Uniti nel corso della guerra Ispano-Americana del 1898, con una cartuccia a bossolo metallico che si espandeva al momento dello sparo, inibendo la fuoriuscita posteriore dei gas. Le canne amovibili rappresentano le antenate delle cartucce a bossolo. Generalmente erano d’acciaio e molto pesanti. Cartucce con polvere, stoppaccio e palla, venivano inserite nella culatta dell’arma (pistola, fucile o arma a ripetizione). L’intento era quello di permettere una rapida ricarica ma, dato che tutti i sistemi d’accensione dell’epoca si basavano sulla fiamma o sulla scintilla, tale sistema era destinato a fallire. Ogni paese europeo, in quell’epoca, studiò ed elaborò sistemi a retrocarica. Molti documenti di quel periodo dimostrano quanto fosse sentita l’importanza del problema che non era inferiore alla necessità di avere a disposizione delle armi a ripetizione di facile impiego. Molte armi sperimentali erano fornite di cilindri più o meno simili a quelli dei revolver ideati successivamente da Colt. Altre portavano delle cariche successive infilate nella stessa canna, separate fra loro da grossi stoppacci. Sulle fiancate della bocca da fuoco venivano praticati in corrispondenza delle cariche altrettanti foconi, innescati e azionati indipendentemente. Come nelle "candele romane", il fuoco attraversava gli stoppacci e sparava le cariche successive. Più spesso, però, saltava in aria tutta l’arma. Sempre agli inizi del XVI secolo gli esperimenti furono numerosi e non tralasciarono di esaminare anche le armi pluricanna. I documenti dell’epoca mostrano chiare illustrazioni di armi a due, tre o quattro canne, sistemate come quelle moderne. Ne vennero realizzate altre sul principio della "pepaiola", di larga diffusione in America ai primi dell’Ottocento, che prevedeva l’uso di diverse canne raccolte intorno ad un asse centrale. Anche i pezzi per tiro a raffica (simili alle moderne mitragliatrici) furono molto comuni. Leonardo da Vinci ne progettò molti tipi, alcuni dei quali a retrocarica. Generalmente si trattava di armi a canne multiple affiancate. Solamente la mancanza di un soddisfacente sistema di accensione precluse allora la realizzazione di tutti quei tipi di armi non automatiche successivamente prodotte e impiegate ancor oggi. Con la realizzazione delle armi portatili a miccia, i battaglioni di fanteria divennero il nerbo degli eserciti. i cavalieri dalle pesanti armature non erano più i protagonisti decisivi per le sorti delle battaglie. L’efficienza della fanteria aumentò rapidamente e, dall’epoca di Bannockburn, essa cominciò a diventare così potente che i cavalieri non osarono più affrontarla fino al regno di Enrico VIII, allorché l’invenzione delle armi a ruota offerse la possibilità di sparare dalla sella. La necessità di ideare un sistema d’accensione che non dipendesse da una miccia accesa o da carboni ardenti portò direttamente all’invenzione del sistema "a ruota". Il principio è semplice e viene usato ancora oggi negli accendisigari; consiste nel far ruotare una ruvida rotella metallica contro una pietra focaia per trarne delle scintille. Esse accendono il polverino d’innesco e, attraverso il consueto foro, la carica di polvere posta nella camera di scoppio. Questa sistema venne realizzato in migliaia di varianti ma era molto oneroso e il suo utilizzo venne limitato alle armi delle persone facoltose e di alcuni militari. Si diffuse comunque rapidamente in tutta l’Europa e Leonardo da Vinci lo descrive nei minimi particolari. Il nuovo sistema di sparo portò ad adottare vari tipi di sicure, sul grilletto, sul cane e sul dente d’arresto, manuali o automatiche. Tutti i sistemi di sicura in uso oggigiorno risalgono, più o meno, ai primi tempi della ruota. Anche alla rigatura furono dedicate ulteriori attenzioni, poiché il sistema di sparo e quello a due scatti, unitamente ai congegni di mira, permettevano maggiore precisione di tiro. Gli esperimenti di questo periodo storico presero in esame tutti i tipi possibili di rigatura (da un minimo di 2 a un massimo di 34 righe), con i relativi passi. Fu presa in esame inoltre anche quella che è comunemente definita "microrigatura", consistente in una rigatura poco profonda. intorno al 1525 fece la sua prima comparsa, al posto del costoso meccanismo a ruota, un tipo più semplice di acciarino, detto "a martellina" (in inglese "snaphaunce"). Si trattava di poco più di un adattamento del vecchio sistema a miccia a tubicino già descritto. Nella morsa del cane era sistemato un pezzo di pirite, anziché il mozzicone di miccia, e presso il focone, vi era una punta d’acciaio. Mediante la pressione del grilletto, il cane avanzava spinto dalla molla e la pietrina colpiva la punta d’acciaio, producendo delle scintille che appiccavano il fuoco al polverino. Il "focile " (o acciarino a pietra focaia) altro non è che il sistema appena descritto, con l’aggiunta di un copri-scodellino imperniato ad angolo retto sullo scodellino (o bacinetto) della polvere d’innesco. Il cane, scattando, colpisce con la pietrina questo pezzo incernierato (detto batteria o "frizzen"), spingendolo all’indietro e mettendo allo scoperto il polverino nello scodellino situato inferiormente. Simultaneamente la pietrina, strofinando contro l’acciaio ruvido, produce delle scintille che incendiano il polverino e provocano lo sparo. I francesi inventarono il "focile" combinando il sistema precedente, detto "a martellina", con quello abbastanza simile noto come il "miquelete" spagnolo. Anche in questa circostanza, in tutta Europa si giunse alla sperimentazione e alla successiva adozione del nuovo sistema. E appena il caso di notare che, come molto spesso il nome di una parte si estende al complesso, così la parola "focile" passò, in lingua italiana e francese, a indicare l’arma lunga da tiro e da guerra. L’arma a pietra costituì il termine di un periodo di modifiche e innovazioni meccaniche nel sistema di accensione. Si impiegò dapprima un tizzone acceso per incendiare l’innesco, si fece ricorso poi all’applicazione meccanica di una miccia a lenta combustione, infine si giunse al sistema, sempre meccanico, di produrre scintille sull’innesco mediante una ruota e una pietra. L’innovazione successiva, cioè il sistema a percussione, conduce a un punto in cui la chimica ha una parte preponderante; l’accensione prodotta mediante un mezzo detonante elimina infatti la necessità di fiamma o di scintille. i primi inneschi erano a base di fulminato di mercurio. Una modica quantità di questo composto veniva posta nello scodellirìo presso il focone, dopo che la carica dì lancio, lo stoppaccio e la palla erano stati introdotti dalla volata. Quando il cane si abbassava, colpiva il fulminato e lo faceva esplodere; l’esplosione provocava, attraverso il focone, l’accensione della carica di lancio di polvere nera. Questa proprietà dei fulminanti era stata notata da scienziati francesi già dal 1703, ma la scoperta non ebbe impiego pratico se non dopo gli esperimenti attuati nel 1793 dal religioso scozzese, Reverendo Alexander John Forsyth. Originariamente Forsyth collocava la polvere direttamente nello scodellino. Ben presto però egli elaborò un sistema di capsule, o pastiglie, sistemando la polvere tra due pezzetti di carta. Utilizzò poi un rotolo ditali capsule, al fine di accelerare l'innesco. Oggigiorno questo sistema viene impiegato nei giocattoli, ma a quei tempi rappresentò un’innovazione fondamentale in fatto di armi portatili. I migliori sistemi a percussione erano naturalmente quelli detti "a capsula" o a "luminello", nei quali l’innesco era contenuto in un bicchierino metallico, collocato su un perno cavo. Quando il cane percuoteva la capsula, la fiammata che quest’ultima produceva sì trasmetteva, attraverso il luminello, alla carica sistemata nella canna. Anche in questo caso vennero condotte sperimentazioni su tutti i metodi possibili per sparare le capsule singolarmente e a ripetizione, utilizzando molte varianti del sistema a percussione. Il momento culminante nell’evoluzione delle armi da fuoco è rappresentato dalle esperienze sulla retrocarica, che aprirono la via alle armi e alle munizioni moderne. Mentre il fucile ad ago Dreyse veniva adottato dal Governo prussiano nel 1841, quattro anni dopo la sua invenzione, i governi delle altre nazioni pensarono più a criticarlo che a cercare di migliorare il principio su cui si basava. A quei tempi erano fondamentalmente in uso quattro sistemi di retrocarica, nonché le infinite varianti degli stessi. Il primo era il sistema "a cilindro", denominato anche "scorrevole". Era stato ideato da Nìkolas Dreyse nel suo "Zundnadelgewehr" o fucile ad ago. Mentre l’otturatore a cilindro veniva arretrato, si inseriva una cartuccia di carta. Un innesco era fissato alla base della pallottola e dietro di esso si trovava il sacchetto della polvere. Un lungo ago all’interno dell’otturatore assolveva alla funzione dell’attuale percussore. Mediante la pressione del grilletto, l’ago veniva lanciato in avanti dalla molla e colpiva la capsula, passando attraverso la polvere. Si riteneva, infatti, che l’innesco situato in questa posizione permettesse una più completa combustione della polvere. Verso il 1866 i francesi introdussero lo Chassepot, un fucile basato sul precedente Dreyse. La parte anteriore dell’otturatore era munita di anello plastico "de Bang" in gomma indiana che si espandeva nella camera posteriormente alla cartuccia e che funzionava ottimamente finché veniva deteriorato dal calore dello sparo. La cartuccia dello Chassepot aveva l’innesco in testa; l’ago forava l’involucro e colpiva l’innesco. Nel 1848 Christian Sharps brevettò un meccanismo che rappresentò indubbiamente il più importante sistema a retrocarica di quel tempo e che introduceva il principio dell’azione a blocco cadente. Agli inizi del secondo conflitto mondiale, più di quaranta tipi d’arma basati su questo principio venivano prodotti in Europa per uso civile e sportivo. Sharps aveva ideato il suo sistema ai tempi del luminello, quando la carica era rappresentata da cartucce di carta. Il modello venne allora modificato per diventare uno dei primi grandi fucili a cartuccia metallica. La tenuta di gas era notevole anche con la cartuccia di carta. Abbassando il guardamano, il blocco di culatta si abbassava in una mortasa collocata nel fusto. Se veniva impiegata la cartuccia di carta, essa veniva tranciata alla sua estremità posteriore al momento della chiusura della culatta mediante il movimento inverso della leva guardamano. Ciò consentiva alla capsula di diffondere la fiammata direttamente sulla carica e di accelerare allo stesso tempo l’operazione di caricamento. Successivamente il blocco di culatta fu dotato di una lama che tagliava la cartuccia più nettamente. I fucili e le carabine Sharps ebbero largo impiego nel corso della guerra di secessione americana. Successivamente adattate per le cartucce metalliche, queste armi diventarono le favorite dei cacciatori di bisonti del West. Con il trascorrere degli anni furono apportate innumerevoli modifiche all’arma, ma quasi tutte di modesto rilievo. Il sistema di accensione mediante percussione di capsule, "pillole" e inneschi, a nastro o isolati, volse al termine in America e all’estero. Prima di passare all’adozione della cartuccia metallica a perfetta tenuta di gas, si ebbe un periodo di transizione di breve durata, in cui fecero la loro comparsa cartucce di tipo integrale dei modelli più strani. Fin dall’avvento della capsula, inventori di ogni nazionalità, in particolare francesi e Anglo-Americani, studiarono vari tipi di cartucce "integrali", contenenti cioè innesco e carica, e naturalmente idearono delle armi in grado di spararle. L’importanza della perfetta tenuta non venne pienamente compresa fino a quando non si poterono sperimentare in battaglia i fucili ad ago Dreyse. Gli americani furono in quest’epoca i più attivi nella ideazione e nella produzione di armi veramente pratiche, fra le migliori del mondo. La loro necessità di disporre di ottime armi per le operazioni di frontiera influì naturalmente in misura determinante sul raggiungimento di questo primato. I tedeschi erano psicologicamente demotivati perché stavano vincendo le guerre col fucile ad ago e non pensavano pertanto che fosse il caso di cambiarlo, I francesi erano invece svantaggiati dal fatto che si erano limitati a studiare le armi prussiane trascurando tutte le altre. Gli inventori inglesi, a causa delle direttive del Ministero della Guerra, che considerava pericolose e poco pratiche tutte le cartucce con autoaccensione e riteneva che ogni fucile a retrocarica rappresentasse un inutile spreco di ingenti quantità di munizioni, dedicarono le loro migliori energie alla ricerca di ogni possibile perfezionamento del sistema a capsula e ad avancarica. In America, invece, il bacino d’utenza del mercato di armi da caccia, sport e difesa era di dimensioni tali da recepire e assorbire qualsiasi modello veramente pratico ed efficiente. Pertanto negli Stati Uniti ebbe grandissima diffusione la retrocarica con qualsiasi tipo di sistema d’accensione (a tubetto, a capsula, a pastiglia) e furono effettuati studi sulle cartucce speciali di tipo europeo che rappresentavano il tentativo di combinare l’accensione con la carica.Come già si è visto, le armi a retrocarica erano note fin dal XIV secolo. Però qualcosa di realmente funzionante e praticamente realizzabile su vasta scala si concretizzò solamente dopo la realizzazione della cartuccia con bossolo metallico a espansione automatica e innesco incorporato. Nei primi fucili europei a retrocarica si impiegarono bossoli in metallo duttile. Veniva smontata la parte posteriore e si introduceva la cartuccia con bossolo, polvere e palla. L’accensione aveva luogo con innesco separato dalla capsula. Lo stesso bossolo usciva successivamente dalla canna insieme alla palla. L’inserimento della cartuccia con il bossolo serviva unicamente ad accelerare l’operazione di caricamento. Il moderno fucile a retrocarica richiede invece delle munizioni che abbiano le seguenti tre caratteristiche:

a) deve trattarsi di munizione fissa, composta cioè da bossolo, innesco, carica di lancio e palla;

b) il bossolo deve essere fabbricato con uno speciale metallo che, al momento dello sparo, si espanda contro le pareti della camera per impedire la fuoriuscita dei gas posteriormente e lungo le pareti stesse e che automaticamente ritorni poi alle sue dimensioni originarie per facilitarne l’estrazione;

c) l’innesco deve essere collocato in un alveolo al centro del fondello del bossolo (nelle armi a percussione centrale) o in un fondello ripiegato (nelle armi a percussione anulare); questo viene colpito da una punta, detonando e causando l’esplosione della carica di lancio.

La prima cartuccia metallica in grado di funzionare regolarmente fu la cartuccia denominata "a spillo". Il merito di aver introdotto, nel 1836, la prima cartuccia e il primo fucile a retrocarica va ascritto al noto armiere parigino E. Lefaucheux. Al suo primo apparire, la cartuccia "a spillo " di Lefaucheux assomigliava gas, a una moderna granata d’artiglieria. Era formata da un involucro di carta, contenente l’innesco, che si espandeva al momento dello sparo per impedire la fuoriuscita dei gas. Da un lato dell’involucro sporgeva uno spillo che portava direttamente al miscuglio detonante. La tenuta dei gas non era buona, con l’innovazione del francese Houiller la migliorò. Va ricordato comunque che, sette anni prima di tale modifica, il parigino Bastin Le Page aveva prodotto una cartuccia in cui la capsula di rame e il suo appoggio sporgevano dal fondello; tale modello però rendeva difficoltosa l’estrazione e non deve essere confuso con le riuscite innovazioni di Lefaucheux e di Houiller. Nelle armi a spillo esiste una tacca per camerare le cartucce; il cane, cadendo, sospinge lo spillo in una capsula situata nel fondello della cartuccia. Quando Lefaucheux presentò la sua doppietta all’Esposizione di Londra nel 1851, della cartuccia stessa faceva già parte la modifica Houiller. Tutte le armi a spillo, però, vennero denominate "a sistema Lefaucheux", trascurando il contributo offerto dal secondo inventore. Il modello incontrò larghi consensi in campo sportivo, sia per quanto concerneva l’arma sia per il funzionamento. Presso i militari ebbe minor fortuna. Per la verità, il caricamento di un’arma basculante è poco adatto per una persona che deve sparare, ad esempio, da terra. Pertanto, salvo in alcuni casi di emergenza, tale tipo di arma non ebbe impiego bellico. Il sistema è stato però largamente utilizzato per i fucili da caccia, pistole e revolvers europei. Il principio della cartuccia a forzamento per espansione fu inizialmente adottato proprio in queste armi a spillo e questo fatto le rende degne di nota. Non si comprende, tuttavia, perché i militari non lo abbiano apprezzato quanto i civili. Ancora nel 1866, come si è detto, i francesi usavano lo Chassepot, con la sua cartuccia ad ago. Nel 1867 i russi impiegavano il tipo Kari modificato, con chiusura a catenaccio, sempre ad ago e, nello stesso anno, in Italia veniva trasformato il Carcano ad avancarica basandosi sullo stesso principio. Il passo successivo si concretizzò nello sviluppo della cartuccia a percussione anulare e delle armi che fossero in grado di spararla. Questo modello, ancora in funzione per determinati calibri, ha il fondello ripiegato con un bordo sporgente. Mentre il tipo a spillo deve essere collocato in posizione idonea, ciò non è necessario con la percussione anulare. Il bordo ripiegato del fondello appoggia sull’orlo della camera di cartuccia, che funge così da incudine. Quando il cane o il percussore lo colpisce, il bordo viene schiacciato e causa la detonazione dell’innesco. Al famoso armiere francese Flobert va il merito di avere modificato la capsula allora in uso, riprogettandola e munendola di un bordo e di una carica costituita da un piccolo proiettile di piombo. Dal 1835 al 1847 Flobert fabbricò pistole e fucili da sala per tali munizioni. Va notato che esse non portano carica di lancio; è il fulminato stesso che attribuisce loro la forza di lanciare la palla alla distanza necessaria per il loro impiego, limitato al tiro da sala. Le odierne cartucce "BB Cap" (bulleted breech cap) sono quasi identiche a quelle originariamente realizzate da Flobert. All’Esposizione di Londra nel 1851 anche Flobert presentò le armi e le munizioni di propria realizzazione.E' indubbio che la prima cartuccia a percussione anulare veramente ben riuscita fu la cartuccia cal. 0,22 inc. di Smith & Wesson (anno 1857). Horace Smith, Daniel B. Wesson e B. Tyler Henry collaboravano strettamente con la ditta Robbins & Lawrence di Windsor. Nel 1851 questa società presentò all’Esposizione di Londra una serie di fucili e di parti intercambiabili e i suoi rappresentanti si procurarono degli esemplari di capsule Flobert e le portarono in America al loro rientro. Va riconosciuto alla Smith & Wesson il grande merito di aver intrapreso lo studio e lo sviluppo di un sistema economico di estrazione del bossolo. L’originale cartuccia Smith & Wesson cal. 0,22inc è praticamente identica alla comune cartuccia cal. 0,22inc a percussione anulare come la conosciamo attualmente e più semplicemente chiamata 22 Short. Gli svantaggi della cartuccia a percussione anulare, quali la distribuzione diseguale dell’innesco nel bordo, la debolezza del bossolo dovuta alla ribattitura dell’orlo stesso e l’idoneità solo per cartucce con basse e medie cariche, hanno reso questo sistema superato per tutte le armi, ad eccezione di quelle di calibro piccolissimo e a bassa carica. Le prime cartucce a percussione anulare avevano il bossolo di rame, mentre quelle prodotte successivamente lo avevano generalmente di metallo dorato. L’uso di inneschi a fulminato di mercurio aveva evidenziato la necessità dell’uso di questa lega, in quanto l’affinità tra mercurio e ottone rendeva difettosi gli inneschi anulari nei più resistenti bossoli di ottone. In tempi recenti, dopo la realizzazione di fulminati non a mercurio, per molte cartucce a percussione anulare si è potuto far uso di bossoli in ottone che consentono lo sviluppo di pressioni maggiori e quindi di maggiori velocità iniziali. Si sono poi utilizzati anche bossoli in acciaio. Originariamente vennero caricate con polvere nera, ma poi, sìn dal 1905, venne impiegato anche un miscuglio di polvere nera e infume ed infine la sola polvere infume. La realizzazione della cartuccia a percussione centrale ha permesso di realizzare armi portatili veramente potenti. Nella sua forma più diffusa è composta da un comune bossolo con o senza risalto (a volte con leggero risalto o cinturato), in cui l’innesco è realizzato da una capsula posta in una depressione del fondello. La sua concezione la rende molto più efficace rispetto alla cartuccia a percussione anulare e ne consente, inoltre, la ricarica. Anche di questa innovazione non si sa con certezza a chi vada attribuito il merito. Peraltro, il francese Pottet nel 1857 brevettò in Francia un modello da cui potrebbe essere poi derivata la cartuccia a percussione centrale. Il modello Pottet è molto simile a un tipo delle attuali cartucce da caccia e la sua descrizione, allegata al brevetto, presenta indubbiamente carattere di originalità. La prima cartuccia a percussione centrale di largo impiego venne brevettata in Gran Bretagna nel 1861, a nome del parigino F. E. Schneider. Originariamente il bossolo era commercializzato dall’industriale inglese G. H. Daw. Nel 1866 egli incaricò W. T. Eley della realizzazione di una cartuccia simile e da quel momento in Gran Bretagna un gran numero di ditte presentò vari tipi di cartucce a percussione centrale. Il colonnello Boxer del Laboratorio Reale ideò, realizzò e brevettò un modello tipo Pottet modificato e migliorato. Le pareti della nota cartuccia Boxer erano d’ottone a serpentina, la pallottola aveva una base cava e un cuneo, di legno inizialmente e di creta successivamente, che serviva per espandere la pallottola stessa (cava frontalmente per meglio distribuirne il peso) contro la rigatura. Con la nuova cartuccia fu superato in precisione l’originale e apprezzatissimo Enfield ad avancarica. L’innesco Boxer è formato unicamente da un semplice bicchierino di metallo contenente la miscela esplosiva e con l’incudine (nel caso specifico un pezzo di metallo appuntito) sagomata in modo da ospitare la punta nell’innesco stesso. Il complesso è collocato nell’alveolo del fondello. Il percussore, percuotendo il fondello della capsula, lo spinge sulla punta dell’incudine. L’urto incendia l’innesco e trasmette la fiammata, mediante un foro, alla carica di lancio che si incendia a sua volta. In tempi successivi questo congegno elementare è stato modificato solamente per quanto attiene l’impiego di nuovi miscugli esplosivi, una migliore tenuta di gas e una impermeabilità maggiore, ma il principio fondamentale su cui è basato, è rimasto invariato perché sempre valido. Al contrario, negli Stati Uniti, quasi tutte le cartucce militari fabbricate verso il 1860 erano del tipo a fondello ripiegato esternamente. Il bossolo assomigliava a quello della cartuccia a percussione anulare, anche se era in realtà a percussione centrale. Un innesco a capsula veniva introdotto attraverso la bocca del bossolo stesso ed era fissato alla sede della capsula da una dentellatura inferiore. Al centro del bicchierino, in un pozzetto, era sistemato l’innesco che veniva compresso tra il fondello e il bicchierino al momento dello sparo. Si trattava di un congegno economico, ma poco affidabile, che rimase tuttavia in uso nelle armi a percussione centrale all’incirca fino al 1880. Nel 1860 il colonnello Hiram Berdan dell’U. S. Ordnance Department ideò un nuovo innesco da utilizzare con bossolo d’ottone di sua progettazione. Tecnicamente il bossolo era di tipo moderno e di concezione altrettanto avanzata era il sistema di sagomatura dell’ottone, rapido ed economico, realizzato dallo stesso ufficiale. L’innesco Berdan è tuttora largamente usato in Europa, soprattutto nel munizionamento per usi militari, mentre non lo è più negli Stati Uniti. Tale sistema differisce dal Boxer perché, pur contenendo la miscela di innesco, non prevede l’incudine integrale che è invece rappresentata dalla sede stessa della capsula. Due forellini nel bossolo consentono alla fiammata di arrivare alla carica di lancio. Questo tipo d’innesco venne impiegato negli Stati Uniti solo per un paio di decenni. Il sistema Boxer, invece, impiega un foro di comunicazione piuttosto grande. Ciò permette una facile espulsione della capsula esplosa e facilita la ricarica. Il Boxer, inoltre, in forza del suo maggiore diametro, consente di impiegare cariche d’innesco di maggiore potenza.

R.C.

 

 

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