Il Ministero in data 3 novembre 2008 ha comunicato di aver classificato come non arma uno strumento spray “al capsicum per autodifesa” detto Palm Defender prodotto dalla ditta “A.S.P. – USA” e importato dalla ditta Mad Max Co di Roma.
La classificazione, ad opera della Commissione Armi è avvenuta nella seduta 2-7-2008 “tenuto conto del parere espresso dall’Istituto Superiore di Sanità”.
Dal complesso della normativa emerge:
- che gli strumenti al capsicum (ma il discorso non cambia per quelli al CN o CS) non sono armi da sparo in quanto non sparano proiettili attraverso una canna; requisito questo specificamente indicato nella Direttiva Europea 2008
http://www.earmi.it/diritto/leggi/direttiva%202008.htm
e dalla Convenzione ONU sul crimine organizzato
http://www.earmi.it/diritto/leggi/2006_146.htm- che pertanto la Commissione non ha alcuna competenza a classificarli, ma che, al massimo può esprimere pareri al Ministero a norma art. 6 u. c. legge 100/1975. In realtà la norma andrebbe correttamente interpretata nel senso che la competenza della Commissione è limitata alle armi da fuoco; basti pensare che nella Commissione non vi è nessuno tecnico che si intenda altro che di armi da fuoco.
- che pertanto la classificazione della Commissione è un atto interno privo di ogni valore giuridico; si spera che il Ministero emetterà un suo autonomo decreto.
- che l’Istituto Superiore di Sanità non ha nessuna competenza a esprimere pareri sulla attitudine ad offendere di un determinato strumento, valutazione che implica anche interpretazione di norme giuridiche e non solo mediche. L’Istituto può dire se una certa sostanza, spruzzata con certe modalità, può o meno provocare lesioni in senso medico, ma di certo non può entrare in merito alla natura giuridica dello strumento che spruzza, alla sua tipologia meccanica e se le lesioni cagionate siano o meno tali in senso giuridico. Ad esempio è arma anche lo strumento che inabilita un avversario senza lederlo. Ma se lo strumento in esame non produce lesioni e non inabilita l’avversario non è uno strumento di difesa, ma uno scherzo di carnevale!
- che gli strumenti di autodifesa per la legge penale non esistono. Se uno strumento lede o incapacità è un’arma; se non fa ciò è un giocattolo, come le softair.
- che anche uno strumento di autodifesa, se esistesse e se fosse idoneo all’uso, sarebbe pur sempre uno strumento atto ad offendere il cui porto sarebbe vietato perché per la legge la difesa personale non è integra il cosiddetto “giustificato motivo”.
- che il provvedimento del Ministero lede la parità di trattamento ed è sfacciatamente a favore di una sola ditta. Il problema non è nuovo perché già nel 1998 il ministero aveva dichiarato innocui uno strumento portachiavi (Keydefender) e una penna spray (Safeguard). Da allora, per 10 anni, nessuna classificazione è stata più accettata e il ministero si è sempre ben guardato dal rivelare quali sono i parametri tecnici al di sotto dei quali uno strumento spray al capsicum non è arma propria. I parametri sono, sul piano internazionale: capacità del contenitore, percentuale di capsicum in soluzione, tipo di getto e distanza di azione, azione singola o ripetuta. Ma se questi parametri non sono mai stati fissati e normati come fa la Commissione a decidere? Con il pendolino o scende lo spirito santo dal cielo? Come fanno gli altri interessati a sapere se il loro prodotto è libero o meno?
- che è evidente la disparità di trattamento creata dal Ministero il quale dichiara ufficialmente che unici prodotti vendibili sono solo i tre da lui autorizzati sebbene nessuna norma preveda tale autorizzazione e sebbene non si sappia per quali motivi quei prodotti sono liberi. È palese che in mancanza di uno straccio di normativa il parere del Ministero potrebbe legittimare chiunque a vendere prodotti eguali, anche se non controllati dal Ministero (fermo restando che per la Giustizia penale il parere o il decreto del Ministero vale quanto il due di briscola perché atto abnorme e contrario alla legge). Ma se non vengono resi noti i motivi per cui tre prodotti sono stati liberalizzati, come fa la concorrenza a beneficiare della liberalizzazione?
È vero che il capsicum è un olio, ma qualcuno potrebbe pensare che unge nei posti sbagliati!
Sul piano penale si deve poi ritenere che chiunque è leggittimato ad invocare la sua buiona fede per l'errore sulla legge penale creato dallo stesso inconsulto modo di procedere della pubblica amministrazione che dichiara dei prodotti innocui senza poi dar modo al cittadino di sapere se ciò che acquista liberamente sia o meno un prodotto consentito dalla legge penale.(4 dicembre 2008) da www.earmi.it
Decreto del Ministro dell’Interno 4 marzo 1987, n. 145.
Parere del Gabinetto del Ministro N. 17119/110 (Gennaio 2006)
Dal sito di E.Mori www.earmi.it il parere del ministero in materia di bombolette spray.
(1) Passando all’esame del merito, la prima questione da affrontare e risolvere attiene all’individuazione del tipo di strumento di autodifesa che deve contemplare l’emanando provvedimento, quale dotazione per l’armamento del personale della Polizia municipale e, in particolare, se a tale personale possano essere concessi in uso strumenti qualificabili come “armi”.
(2) Per la definizione di tale aspetto si ritiene di dover fare riferimento, principalmente, ai principi elaborati dalla giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione che, intervenendo più volte sull’argomento, ha statuito che le bombolette contenenti “gas paralizzante”vanno considerate a tutti gli effetti come “aggressivi chimici” (cfr. Cassazione penale Sez. 1, n. 27436 del 2005; Sez. 1, n. 3131 del 28.5.1998; Sez. 1 n. 1300 del 10.11.1993, ecc.) e quindi armi e va aggiunto che tali “armi” risultano peraltro incluse nell’elenco dei cosiddetti materiali di armamento e sono destinate solo ai corpi armati dello Stato (forze di polizia ed anche all’esercito, salvo disposizioni contrarie di natura internazionale che ne vietino l’utilizzo alle truppe in armi).
(3) Si è del parere, inoltre, che non debba trattarsi nemmeno di strumenti che posseggano requisiti di funzionamento e di destinazione di impiego idonei a recare offesa alla persona, tali quindi da essere considerati “armi” , a norma dell’art. 2 della legge 110/1975, in relazione a quanto previsto dall’art. 30 del T.U.L.P.S. e dell’art. 704 del c.p.. Di tali strumenti, infatti, ne sarebbe vietato il porto (consentito solo per le armi indicate nell’art. 42 T.U.L.P.S., meglio indicate nell’art. 2 della legge n. 110/1975, commi 1, 2 e 3), anche con riguardo al personale della Polizia municipale, poiché l’articolo 5 della legge 7 marzo 1986, n. 65, demanda al regolamento del Ministro dell’Interno di stabilire la tipologia, il numero delle armi in dotazione e l'accesso ai poligoni di tiro per l'addestramento al loro uso e non sembra invece ammettere deroghe alla generale disciplina del porto delle armi dettato dalla legge.
(4) Restano quindi solo da considerare, come correttamente evidenziato nello schema di decreto in esame, quegli strumenti indicati al comma 3-bis dell’articolo 4 del D.M. n. 145/1987 che si intende introdurre, cioè gli “erogatori a spruzzo contenenti oleoresin capsicum, funzionanti a getto balistico, ovvero a cono, con esclusione dei prodotti contenenti anche sostanze infiammabili, corrosive, tossiche o cancerogene…” e sembrerebbe opportuno aggiungere, “ovvero aggressivi chimici micidiali”.
(5) Si tratta in effetti di quei prodotti sui quali la Commissione consultiva centrale per il controllo delle armi già in passato si è pronunciata, esprimendo l’avviso, condiviso dall’Amministrazione, che in ragione del modesto contenuto di sostanza attiva (temporaneamente irritante o provocante incapacità fisica momentanea), tali strumenti non hanno attitudine a recare offesa alla persona e pertanto non possono considerarsi armi.
(6) Ove si condividano le considerazioni sopra espresse, consegue che il provvedimento di cui si discute non solo non può imporre al produttore di munirsi della licenza di cui all’art. 31 del T.U.L.P.S., necessaria solo per coloro che fabbricano le armi, ma non si intravedono profili di competenza della Commissione consultiva centrale a pronunciarsi ai fini dell’ “omologazione degli strumenti di difesa”, che come si è detto “armi” non sono.
(7) La soluzione che di seguito si illustra ricondurrebbe invece il provvedimento nell’alveo della legittimità, canalizzandolo nei limiti delle competenze attribuite dalla legge all’Amministrazione dell’Interno ed evitando eventuali ingerenze in compiti demandati ad altre Amministrazioni, come quella delle Attività produttive o delle Regioni, e soprattutto eliminerebbe la ventilata esigenza di dover sottoporre il provvedimento anche all’esame del Consiglio Superiore di Sanità, a norma dell’art. 4, comma 2, lettera a), del decreto legislativo n. 266 del 1993, nell’ottica che il provvedimento rimarrebbe rivolto alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, non investendo aspetti connessi con la tutela della salute pubblica.
(8) In questa ottica, quindi, il sindacato della Commissione Consultiva Centrale per il controllo delle armi potrà spingersi fino a giudicare che non si tratti di armi, ma di “strumenti per i quali deve escludersi, in relazione alle caratteristiche possedute, l’attitudine a recare offesa alla persona”, sulla base di una procedura da introdurre (più o meno simile a quella disciplinata dal comma 1 dell’art. 19 bis, del provvedimento in esame) ed in ragione della documentazione esibita dal produttore, comprensiva delle certificazioni di enti o laboratori autorizzati attestanti le prove eseguite.
(9) Si tratterebbe, in altri termini, di legittime prescrizioni imposte dal Ministro dell’Interno, tese a garantire per motivi di sicurezza pubblica il pericolo che possano essere immessi in circolazione “strumenti”, diversi dalle armi, ma pur sempre dotati di capacità lesiva, sui quali non si sia preventivamente espresso l’Organo competente ad escluderla, ovvero ad attestarla ai fini di consentirne la regolamentazione della detenzione, ovvero della detenzione e del porto.
(10) Come pure assurgerebbero a prescrizioni legittime i seguenti altri obblighi per il produttore, da sottoporre peraltro a procedure semplificate, valutando altresì l’opportunità di far ricorso all’istituto del “silenzio assenso”, come quello, ad esempio, di:
- esibire un prototipo al competente Ufficio del Dipartimento della pubblica sicurezza;
- destinare la produzione esclusivamente a richieste che provengano da corpi di polizia municipale o dalle forze di polizia;
- far risultare dall’etichetta il nome dell’ente o dell’istituzione che ha commissionato la fornitura, numerando ogni singolo pezzo prodotto per esigenze di monitoraggio e controllo.
(11) Non sfuggono, infatti, allo scrivente Ufficio di Gabinetto le preoccupazioni che hanno indotto codesto Dipartimento a scegliere la strada dell’omologazione dei prodotti, ma si ritiene che la soluzione suggerita raggiungerebbe lo stesso risultato, incidendo con la doverosa cautela sulle attività produttive. Si ritiene, in proposito, che lo scopo principale dei limiti imposti deve farsi risiedere evidentemente nella necessità di mantenere fermo il principio che può ammettersi un regime di libera vendita degli strumenti di autodifesa solo con riguardo a quelli in confezione monodose, mentre si rileva opportuna, anzi indispensabile per motivi di sicurezza pubblica, la permanenza del divieto di circolazione in libero commercio di prodotti che si prestano ad essere utilizzati più di una sola volta.
(12) D’altra parte, il ricondurre l’inosservanza dell’emanando provvedimento all’ipotesi della non osservanza di un provvedimento legittimamente dato per ragioni di sicurezza pubblica o di ordine pubblico, risolverebbe anche il non trascurabile problema della sanzione concreta, che mancherebbe invece nel caso in cui si optasse per “l’omologazione degli strumenti di autodifesa”. Nel caso invece si ipotizzasse una violazione delle prescrizioni poste con l’emanando decreto, potrebbe invocarsi l’operatività dell’articolo 650 c.p., circostanza questa che comporterebbe la conseguente possibilità di richiedere all’A.G. il sequestro degli strumenti di autodifesa difformemente prodotti come corpo del reato, ovvero quali cose pertinenti al reato necessarie per l’accertamento dei fatti.